Quartiere Flaminio, Roma.
Lei vive qui o, meglio, viveva qui, da queste parti, in una casa che prende il sole, affacciata sul fiume, alla fine di una scala a chiocciola da fiatone che guardandola da sopra ti gira la testa e, da sotto, ti vengono le vertigini. Ho una grande attrazione per questi luoghi, i miei passi mi hanno spesso portato qui, perché lei viveva qui, è l’amore mio e si chiama Flaminia. Cammino e l’occhio si ferma su luoghi che, credo, le sono familiari, anche se non ne sono sicuro. Ci sono tracce di vita di quartiere o sagome di bambini che prendono a calci un pallone: palloni a volte sospesi nell’aria, altre volte “intrusi”; poi distolgo lo sguardo dalle persone e mi fermo sulle geometrie del MAXXI o di qualche facciata di palazzo illuminata da una luce intensa. C’è un palazzo che sembra fare una linguaccia con una tenda che sporge, un altro ti colpisce per la ripetizione dei suoi elementi, hanno cento occhi i palazzi; gli scarabocchi sui muri sembrano opere di un artista incompreso, o impazzito, mentre il grande finestrone dal collo lungo del MAXXI diventa scenografia ed in certe ore riflette il quartiere, in altre acceca un po’. C’è nuova vita underground sotto al Ponte della Musica e c’è musica a volte, che si mescola al suono lento dell’acqua torbida del Tevere. C’è bellezza e l’umanità della gente, ma anche una conturbante decadenza che, a volte, diventa degrado.